Om namah

Om namah

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Om Namah Shivaya è uno dei mantra più antichi e venerati dell’India. “Om” si riferisce al suono primordiale da cui emana tutta la creazione; “Namah” esprime riverenza; e “Shivaya” significa “al Signore Shiva”, il Sé divino dentro di sé. Queste parole – “onoro il Signore Shiva, il mio Sé” – ci danno un mezzo per riconoscere e adorare la nostra divinità. Con ogni ripetizione del mantra, alimentiamo la consapevolezza della nostra natura più profonda.

Baba Muktananda si riferiva spesso a Om Namah Shivaya come “il grande mantra redentore”. Rafforzato dalla grazia del Guru, questo mantra ci riscatta dalle tendenze che ci fanno sentire limitati e alla fine rivela il nostro stato interiore di libertà e di unità con Shiva, il grande Sé di tutti. I Guru del Siddha Yoga -hagavan Nityananda, Baba Muktananda e Gurumayi Chidvilasananda- hanno impartito questo mantra ai ricercatori per risvegliare la loro energia spirituale interiore, Kundalini Shakti. Ripetendo Om Namah Shivaya con la consapevolezza del suo significato, possiamo arrivare a riconoscere questa energia divina che scintilla in noi stessi e in tutta la creazione.

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Ripetere il nome di Dio o una preghiera a Dio è un metodo antico che è stato praticato da tutte le religioni. Lo scopo è quello di rafforzare il contatto con Dio e purificare la mente dai pensieri inutili ed è meglio eseguito in uno stato d’animo devozionale con amore per Dio. Perciò è bene usare il mantra alla forma di Dio che si trova vicino al cuore.

Om Namaha Shivaya è anche chiamato il Panchakshara Mantra – il Mantra con cinque sillabe. Queste cinque sillabe Na Mah Shi Va Ya hanno una relazione con i cinque elementi – Terra, acqua, fuoco, aria ed etere. Na attiva la terra (Prithvi), Mah attiva l’acqua (Apas), Shi attiva il fuoco (Agni), Va attiva l’aria (Vayu) e Ya attiva l’etere (Akasha).

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Questo mantra viene ripetuto verbalmente o mentalmente, attirando la mente su se stessa alla presenza infinita e onnipervasiva del Signore Shiva. Tradizionalmente viene ripetuto 108 volte al giorno tenendo il conto su un filo di perline rudraksha. Questa pratica è chiamata japa yoga. È liberamente cantato e cantato da tutti, ma è più potente quando è dato dal proprio guru. Prima di questa iniziazione, che si chiama mantra diksha, il guru richiede di solito un periodo di studio. Questa iniziazione è spesso parte di un rituale del tempio, come una puja, japa, homa (cerimonia del fuoco), dhyana o mentre si spalma la vibhuti. Il guru sussurra il mantra nell’orecchio destro del discepolo, insieme alle istruzioni su come e quando cantarlo.[9]

Questo mantra è associato alle qualità di preghiera, amore divino, grazia, verità e beatitudine. Se eseguito correttamente, presumibilmente calma la mente e porta intuizione e conoscenza spirituale. Inoltre mantiene il devoto vicino a Shiva e all’interno della sua comunione globale protettiva.

Nel film Eat, Pray, Love: One Woman’s Search for Everything Across Italy, India and Indonesia (2007), Elizabeth Gilbert ha spiegato che il primo canto fornito dal suo guru fu “Om Namah Shivaya.”[18] La Gilbert ha scritto che questo significava “onoro la divinità dentro di me.”[19]

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